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«Mi pareva di sentire come una musica ipnotica e intossicante provenire da quei versi...»

 (Antonia Arslan)


La musica di Komitas incontra la poesia di Varujan.

L’Arte incontra l’Arte.

Due personalità così prepotentemente e profondamente spirituali il cui destino fu drammaticamente segnato dal genocidio armeno e le cui opere, veri gioielli da riscoprire, nella loro potenza espressiva e forza spirituale, giungono oggi a noi come un messaggio di speranza per un mondo in cui la tolleranza, la libertá, la bellezza e il rispetto per la vita siano vera guida per il futuro dell’uomo.


Per questi due grandi artisti, vero ponte culturale tra oriente e occidente (studiarono infatti entrambi in Europa), la dimensione orientale è un viaggio mitico verso le proprie radici e verso la riscoperta della terra patria, proprio in un momento storico in cui al popolo armeno stava per essere negata l’identità nazionale e la patria stessa.

Così per Komitas la musica tradizionale fu il punto di partenza di un percorso spirituale. I brani eseguiti in questo repertorio sono tratti da un’antologia di melodie tradizionali armene che Komitas raccolse ed elaborò nei primi anni del Novecento durante il suo lavoro di ricerca etnoantropologica e etnomusicologica. Lavoro che intraprese con la volontà di ricucire quell’identità e quell’unità culturale e spirituale che col susseguirsi, nei secoli, di continue dominazioni straniere era stata messa a dura prova.


Tutti i brani del programma sono di grande suggestione emotiva, come quelli di Sayat Nova (XVII sec) tra i massimi trovatori caucasici della storia o quelli di Grigor Narekatsi (Gregorio di Narek) monaco, teologo, filosofo, poeta e mistico armeno del X secolo dichiarato dottore della Chiesa Universale da Papa Francesco nel 2015. Melodie rese immortali da uno strumento a fiato unico e straordinario, il duduk armeno - così ne parla l’etnomusicologo Jonathan McCollum: “Esso [il duduk] è in realtà l'unico vero strumento armeno che è sopravvissuto lungo la storia e ciò ne fa un simbolo dell'identità nazionale armena. La più importante caratteristica del duduk è la sua abilità ad esprimere la dialettica della lingua e l'umore della lingua armena, il che rappresenta spesso la sfida principale di un suonatore di duduk.”  - le cui origini si perdono nella notte dei tempi (si ritiene abbia più di 3000 anni).


L’opera di Varujan fa da perfetto contraltare linguistico, emotivo e spirituale, attraverso la musicalità e il ritmo dei versi poetici, a questi intensi brani. Nel Canto del Pane il dettato poetico restituisce un campionario di visioni concrete e reali della materia indagata e rappresentata (il mondo rurale, il ciclo delle stagioni, i rituali di una società contadina) ma incastonate in un mosaico mobile, in una rete di vibrazioni risonanti in una dimensione mitica e simbolica, dove tutto si dissolve nell’atemporalità e nella incessante trasformazione del cosmo.

C’è una propensione liturgica nella poesia e nel canto orientali, tipica nella cultura bizantina, dove gli oggetti entrano nel piano della realtà nel momento in cui vengono nominati.

Proprio come descritto dagli splendidi versi di Varujan nella poesia introduttiva del programma Alla Musa:


“…insegnami, e incorona di spighe la mia lira,

perché sull’aia, alla fresca ombra del salice,

io mi possa sedere e generare le mie canzoni”.

Il Canto del Pane